mercoledì 20 maggio 2009

Paura e disgusto a Calcutta


Dan Simmons, Il canto di Kali (Song of Kali, 1985)

Avevo detto domani? E quel domani era domenica? Mannaggia, la mia pigrizia come sempre prevale su tutte le buone intenzioni! :-P Beh, eccomi qua, parliamo del libro d'esordio di Dan Simmons, il visionario creatore del magniloquente ciclo dei Canti di Hyperion... come partire, se non con una frase d'effetto?

Questo libro è assolutamente orribile.

Orribile non in senso artistico: il romanzo è scritto benissimo, la storia scorre che è un piacere, i personaggi sono caratterizzati bene, la vicenda è intrigante... però il tutto è condito da elementi fortemente disgustosi e/o macabri, per cui è roba per stomaci forti, siete avvisati!
Dunque, dato che la tendenza a inquadrare ogni romanzo in un genere particolare è sempre fortissima, direi che Il canto di Kali è fondamentalmente un giallo/noir, o semplicemente un romanzo drammatico... che scivola nell'horror se consideriamo reali gli eventi apparentemente soprannaturali che accadono nel corso della storia, mai del tutto spiegati. Questo se partiamo dal presupposto che il genere horror si definisca come tale in base alla presenza in esso dell'elemento soprannaturale: se invece per horror intendiamo lo splatter e il macabro fine a se stesso come tende a fare Hollywood da qualche anno a questa parte, allora bolliamo tranquillamente il romanzo di Simmons come horror tout-court.
Il romanzo, ambientato nel 1977, narra la vicenda di Robert Luczak, un poeta e giornalista americano di origine polacca che riceve un incarico particolare: recarsi a Calcutta per recuperare il manoscritto dell'ultima opera del poeta bengalese Das e, se possibile, intervistare l'autore stesso. Un aspetto curioso dell'incarico è che Das risulta essere disperso da diversi anni, probabilmente morto annegato, eppure diversi personaggi di spicco della scena culturale indiana sono pronti a giurare che egli sia vivo e pronto ad incontrare Robert. Benché il collega di Robert, Abe Bronstein, cerchi di dissuaderlo in tutti i modi dall'andare in quella città maledetta, il nostro protagonista decide di partire, accompagnato dalla moglie indiana Amrita, una docente di matematica poliglotta, e dalla figlioletta in fasce, Victoria. Una volta giunti a Calcutta si trovano davanti un quadro di miseria e degrado, malattia e criminalità, un vero inferno sulla terra. Forse è questo l'aspetto più rilevante del romanzo: la descrizione della miseria più totale, senza remore e senza censure, per non dire senza pietà. Quest'ambiente degradato ha una sua poesia particolare, decadente se vogliamo, e Simmons ne tratteggia il quadro in maniera quasi violenta, lasciando un ricordo indelebile nella mente del lettore. Lo stesso Robert, che narra la sua storia in prima persona, non manca più volte di esprimere il suo disgusto verso quel microcosmo affollato di mendicanti, lebbrosi, criminali spietati, in un crescendo di disgusto che inevitabilmente rende la lettura pesante per chi non ama il macabro (io per esempio non lo amo più di tanto, ma in qualche modo sono arrivato alla fine del libro, eheh!).
Su questo sfondo degradato si svolge la ricerca di Das, durante la quale Robert incontra vari personaggi più o meno pittoreschi che lo aiuteranno o lo ostacoleranno in vari modi, mentre viene alla luce l'esistenza dei Kapalika, un culto di fanatici devoti alla malvagia dea Kali. La vita di Robert e della sua famiglia verrà sconvolta da eventi terribili che li segneranno per sempre e, come lo stesso narratore ci dice fin dalla prima pagina del libro, Calcutta gli si rivelerà come un luogo troppo malvagio e orribile per esistere, una sorta di buco nero o di piaga incurabile. Il libro è una piccola discesa negli inferi: emozionante, affascinante, ma profondamente morboso e a momenti disturbante.
Il romanzo di Dan Simmons, come ho detto all'inizio, è un bel libro. Forse un po' troppo pesante e macabro, specie nel drammatico finale, ma pur sempre una lettura avvincente, che consiglio però solo a chi ha lo stomaco forte. Il libro non dà certo un'idea positiva dell'India, o almeno di Calcutta, ma ne trasmette in un certo senso il fascino esotico, benché sepolto sotto una montagna di rifiuti e di cadaveri di derelitti. Non è certo un libro per bambini!

sabato 16 maggio 2009

Prossimi aggiornamenti...

Mi mancano una cinquantina di pagine per finire il prossimo libretto che finirà su queste pagine... intanto sto ponderando se non pubblicare qualche mio breve scritto fantanerd su questo blog, tanto per appagare il mio maniacale egocentrismo! :-P Purtroppo sono anche estremamente autocritico e giudico molto inadeguate le mie composizioni narrative realizzate finora... Beh, a domani per la prossima recensioncina!

giovedì 7 maggio 2009

Fanta-archeologia


Andreas Eschbach, Lo specchio di Dio (Jesus Video, 1998)

Dopo un periodo di pigrizia imperdonabile torno a recensire robaccia su questo blog... e questa volta ho deciso di svecchiare un po' il contenuto della paginetta, parlando di un romanzo recente (o perlomeno parecchio più recente dei precedenti!). Trattasi ordunque di un libro tedesco, scritto dall'autore di SF Andreas Eschbach. Ho detto SF? In effetti il genere di partenza di Eschbach è proprio quello, però il romanzo in questione è fondamentalmente un thriller in senso classico, benché condito con elementi fantastici (anzi, con un solo elemento fantastico che però condiziona tutta la vicenda). E allora via, più veloce della luce, squillino le trombe e diamo inizio all'analisi del romanzo!
La storia è ambientata in Israele, dove una serie di scavi archeologici sotto la guida del professore inglese Wilford-Smith porta alla luce un reperto a dir poco straordinario: uno scheletro umano che, senza ombra di dubbio, risale all'epoca di Gesù Cristo, eppure presenta otturazioni dentarie e una frattura curata con la tecnica medica moderna... e, soprattutto, ha con sé una scatola di plastica contenente il manuale di una videocamera non ancora uscita sul mercato! Sembrerebbe uno scherzo, eppure le analisi scientifiche provano che è tutto vero: si tratta dei resti di un viaggiatore temporale! Questa incredibile scoperta viene fatta dal nostro protagonista, Stephen Foxx, uno studente americano che sfruttando la sua intelligenza e astuzia è riuscito giovanissimo a fare una fortuna con la vendita di software (software che non era nemmeno opera sua, a dirla tutta) e che si diletta a partecipare a spedizioni archeologiche per il gusto dell'avventura.
Stephen Foxx è un protagonista un po' diverso dal solito eroe senza macchia che ci potremmo aspettare: specie all'inizio è egoista, materialista e nutre ambizioni enormi - dopotutto è incredibilmente sveglio e ha già fatto un mucchio di soldi grazie alla sua intelligenza. Personalmente l'ho trovato un personaggio interessante, ma profondamente antipatico. Il nostro Stephen, a suo dire seguendo un impulso inspiegabile, decide di nascondere una serie di foglietti che accompagnavano il manuale della videocamera per studiarli per conto proprio. Wilford-Smith e i suoi colleghi quindi sanno dell'esistenza dello scheletro e del manuale, ma non delle annotazioni lasciate dal viaggiatore nel tempo.
Subito compare un nuovo personaggio, quello che potremmo definire il cattivone della vicenda: John Kaun, uno spietato miliardario americano a capo di un network televisivo in ascesa. Kaun intende sfruttare la sconcertante scoperta per consolidare la sua posizione e trarne un guadagno senza precedenti: o trasmettendo il filmato (una volta trovata la videocamera col filmato al suo interno), oppure ricattando la Chiesa cattolica perché lo paghi profumatamente in cambio del suo silenzio riguardo un filmato che, chissà, potrebbe scuotere alle fondamente l'intera Cristianità.
La sfida, dunque, è tra Foxx e Kaun, intorno ai quali ruota un ampio cast di personaggi: Judith Menerz, una ragazza israeliana da cui Stephen è attratto (nulla di romantico, si direbbe: il nostro ha semplicemente una gran voglia di farsela!); il fratello di Judith, Jehoshua (spero di aver scritto tutte le h al posto giusto!), uno studioso che aiuta i due a decifrare i fogli lasciati dal viaggiatore nel tempo; Peter Eisenhardt, uno scrittore di fantascienza tedesco legato indirettamente all'azienda di Kaun (che finanzia la casa editrice che pubblica i romanzi del tedesco), chiamato dietro lauto compenso a formulare teorie sulla videocamera, nella speranza di capire le modalità e il vero obiettivo del viaggio temporale; Ryan, lo scagnozzo di Kaun, una sorta di spia-killer (almeno apparentemente...), sguinzagliato sulle tracce di Stephen e compagni una volta scoperto l'inganno del giovane americano; il professor Wilford-Smith, una figura ben più misteriosa di quanto appaia inizialmente; padre Lukas, un povero prete di Gerusalemme che si occupa dei poveri e dei derelitti della città; padre Scarfaro, un cattivissimo inviato del Vaticano, che con lo zelo di un inquisitore cerca di fermare i piani di Kaun; e altri personaggi ancora.
Non sto a rivelare troppi dettagli sulla trama, ma mi soffermo sulla vicenda in generale e sul modo in cui viene sviluppata: non si tratta di un thriller tutto sparatorie e inseguimenti come si potrebbe pensare, anzi! Anche se gli inseguimenti abbondano e qualche sparatoria non manca, non si tratta di una storia violenta con dei killer spietati sulle tracce degli eroi: tutti i personaggi, buoni o cattivi che siano (ed è difficile tracciare una linea di demarcazione netta), agiscono seguendo i propri interessi, ma rimanendo sempre più o meno entro i limiti della legalità, o perlomeno senza compiere azioni eclatanti come omicidi o rapimenti. Si tratta quindi di un "thriller" atipico, molto leggero per quanto riguarda la suspence e l'azione. Quello che più conta è il mistero in sé, che viene gradualmente alla luce, man mano confermando o smentendo le miriadi di ipotesi formulate dai personaggi.
Un aspetto particolare è tutta la questione religiosa alla base della vicenda: al giorno d'oggi un thriller che coinvolge il Vaticano potrebbe sembrare scontato, ma il romanzo di Eschbach risale a più di dieci anni fa, ergo non andrebbe per forza ricollegato a Il codice Da Vinci... anche perché non mi sembra un'opera che si limiti ad attaccare banalmente la Chiesa, semmai ne mostra le varie facce - dal buono e generoso padre Lukas, vero esempio di carità cristiana, al perfido Scarfaro che in alcuni punti mi ha quasi ricordato Nicolas Eymerich. Semmai mi ha un po' irritato l'immagine della Chiesa data negli ultimi capitoli - un po' scontata e trita... beh, saranno opinioni personali dell'autore! In ogni caso, perdonatemi lo SPOILER...

la visione del video in uno degli ultimi capitoli è un momento altamente lirico e ricco di pathos, quasi commovente (ma non rivelo altro).

Tra i personaggi ho trovato molto carina la figura di Eisenhardt, uno scrittore un po' fuori dal mondo, fondamentalmente un debole che fa fatica a compiere qualunque azione degna di nota nella storia, anche se le sue teorie sul viaggio nel tempo sono molto interessanti. Penso sia una figura autoironica creata da Eschbach per prendere in giro lo stereotipo dello scrittore di fantascienza - quindi si può dire che il romanzo contenga un elemento metaletterario (ma come sono colto, ahah!).
Vediamo dunque di formulare un giudizio globale su quest'opera.
Chi si aspetta un thriller in senso stretto potrebbe rimanere deluso, come anche chi si aspetta un romanzo fantastico a tutto tondo, con eventi incredibili e rivelazioni sconvolgenti. Alla fine della storia rimane un po' la sensazione che il romanzo giochi molto sul non detto, su quanto rimane avvolto dal mistero. L'autore non fornisce risposte certe, alla fine rimangono tante ipotesi e nessuna spiegazione esauriente. Devo dire che, in questo senso, il libro mi è sembrato un po' un'opera incompleta, o perlomeno un'opera che non dice tutto quello che potrebbe dire, in cui la storia non viene sfruttata a dovere, non si esprime al massimo del suo potenziale. Insomma, manca qualcosa... ma credo sia stata una scelta consapevole dello scrittore. In ogni caso gli ultimi capitoli contengono alcune scene davvero brillanti che mi sono piaciute davvero molto, inoltre la storia in sé è interessante e ben congegnata, anche se forse non coinvolge come ci si potrebbe aspettare da un thriller (e, in fondo, Lo specchio di Dio un vero thriller non è). Insomma un buon libro, con delle ottime idee, non un capolavoro ma una lettura piacevole e con degli spunti interessanti. Se poi voleste farvi un'idea sulla vita in Israele e sulla complessa società di quel Paese il romanzo contiene molte informazioni interessanti... e spesso curiose.
Complessivamente darei un 7-7,5, se proprio volessi attribuire un voto numerico al libro. Prima o poi dovrò leggere il romanzo Miliardi di tappeti di capelli, dove Eschbach si dedica alla SF in senso stretto... e quando lo farò provvederò a recensirlo sul blog. Sciao!