sabato 26 dicembre 2009

Capolavoro o non capolavoro? Questo è il problema! (qualche appunto su Avatar)

Di cosa ho intenzione di blaterare oggi? Ma di Avatar, il nuovo attesissimo kolossal di James Cameron, il capolavoro che tutti attendono con impazienza... e che in Italia uscirà solo a gennaio, a quanto pare, dato che bisogna lasciar spazio ai cinepanettoni e ad altra roba "tipicamente natalizia" mentre il resto del mondo si gode il filmone nello splendore del 3D... mah! In ogni caso il film lo vidi proprio ieri sera in lingua originale (mi trovo all'estero, ahahah!) e ho pensato bene di buttare giù qualche riflessione in merito.
Dunque torniamo alla domanda del titoletto: capolavoro o non capolavoro? Risposta: capolavoro a metà. Trattasi infatti di un film visivamente incredibile, lo stato dell'arte degli effetti speciali: davvero favoloso, soprattutto in tre dimensioni (anche se mi pare eccessivo affermare che senza il "fattore 3D" il film non sia la stessa cosa... il 3D aggiunge spettacolarità ma non mi sembra che costituisca un elemento davvero fondamentale). Un film che è pura meraviglia per gli occhi, un tripudio di colori, luci e computer graphic portata a livelli mai visti prima... al punto che il tutto potrebbe sembrare quasi indigesto per chi non ama l'uso smodato degli FX. Ma tecnicamente parlando il risultato è davvero eccezionale! I paesaggi e le strane creature del pianeta Pandora appaiono incredibilmente reali, quasi tangibili (merito, qui sì, del 3D); le scene di guerra sono spettacolari e assolutamente apocalittiche; gli alieni giganti Na'Vi e le varie bestie che popolano il pianeta sono ricreati alla perfezione.
Tutto perfetto dunque? A livello visuale sì, ma in un film conta anche la storia narrata e si sono già visti fin troppi filmacci mediocri conditi con effetti speciali scoppiettanti... il timore che ho avuto fin dall'inizio era che, come si suol dire, la montagna partorisse un topolino. Erano paure fondate o meno? Di nuovo, la risposta è: a metà. La trama del film è ben congegnata, la recitazione (tanto degli attori in carne e ossa quanto di quelli "ritoccati" con la CG per trasformarli in alieni) è di ottimo livello e l'abilità alla regia del veterano Cameron non si discute. Cosa manca dunque? Beh, francamente la vicenda in sé mi è sembrata un po' trita e ritrita, se non addirittura banale e scontata. Il nostro eroe, l'ex marine Jake Sully, sotto forma di avatar (da qui il titolo del film), ovvero di un corpo creato in laboratorio a imitazione dei nativi del pianeta, viene accolto da una tribù e, dopo le difficoltà e diffidenze iniziali, diventa uno di loro. Ovviamente ci scappa anche la storia d'amore... ma presto i perfidi terrestri si lanciano all'attacco per conquistare un prezioso minerale, guarda caso presente proprio sotto il gigantesco albero sacro dei Na'Vi che vanno quindi fatti sloggiare con la forza. Alla perfida e cinica arroganza dei leader della colonia umana si contrappone la nobiltà d'animo e il pacifismo della squadra scientifica che ha creato gli avatar per studiare più da vicino il pianeta (la cui atmosfera è ostile per gli l'organismo umano) e conoscere meglio i nativi. Lo scontro sarà devastante...
La trama, come dicevo, è ben strutturata e congegnata. Tuttavia non ho potuto evitare di pensare, all'uscita dalla sala, che Avatar sia fondamentalmente una favola ecologista piena di buoni sentimenti e politicamente corretta fino al midollo. Non che io abbia qualcosa contro i buoni sentimenti: personalmente trovo indigesto il cinismo feroce di Sin City o di Pulp Fiction, ma sinceramente da Avatar mi aspettavo qualcosina di più innovativo a livello di contenuti. Invece l'innovazione si ferma agli effetti speciali (meravigliosi), mentre la storia in sé è appunto abbastanza ovvia e sa di già sentito (Un uomo chiamato cavallo? Balla coi lupi?). Oddio, niente a che fare con la banale presentazione del film nei tg nostrani: "una storia d'amore alla Romeo e Giulietta", brrr... Comunque francamente speravo di vedere un film più complesso e stimolante, invece niente da fare. Peccato, ma dopotutto ci si deve accontentare... e sicuramente il film nel suo insieme è un'esperienza davvero coinvolgente.
In conclusione: capolavoro o no? Beh, visivamente sì, va visto anche solo per gli effetti speciali e i grandiosi scenari del selvaggio pianeta Pandora. Ma se al lato visuale darei un 10 e lode, a quello narrativo mi limiterei ad un 7. Una buona storia ma, insomma, niente di nuovo sotto il sole.
Un ultimo appunto: il perfido colonnello Quaritch (interpretato da Stephen Lang) è il "badass" definitivo, roba che Schwarzy, Stallone, Steven Seagal e compagnia bella tutti insieme gli fanno una pippa. Peggio di Chuck Norris! :)

giovedì 24 dicembre 2009

Il mattone per eccellenza... ma solo per il numero di pagine! :)

Stephen King, It (It, 1986)
Cosa posso dire di questo libro che non sia già stato detto e ridetto un'infinità di volte? Forse il capolavoro del Re, un'intensa e bellissima storia sull'amicizia, sull'infanzia e sul diventare adulti prima ancora che un horror di prima categoria. Un horror con un cattivone ormai entrato nell'immaginario collettivo (chi non prova un minimo di inquietudine alla vista di un clown?) ed un intreccio orrorifico-fiabesco davvero affascinante, che rimane impresso nella mente del lettore. Ma, appunto, quello che personalmente mi colpisce di questo mastodontico romanzo è il lato umano, le vicende dei suoi protagonisti, la storia della vita di ciascuno di loro. Bill, Ben, Beverly, Mike, Richie, Eddie, Stan... ognuno di loro è descritto in maniera così vivida che sembra uscire dalla pagina stampata, sembra una persona reale, addirittura un vecchio amico. Chi da ragazzino non si è sentito qualche volta come uno degli sfigatelli del Club dei Perdenti? Chi non si rivede in qualcuna delle innumerevoli storie raccontate da King, tutte così piene di dettagli, anche irrilevanti, da farle sembrare quasi più autentiche della vita reale? Sicuramente il marchio di fabbrica di Stephen King è la sua proverbiale logorrea: se può allungare il brodo con 400 pagine di divagazioni sulle abitudini alimentari di uno dei protagonisti o sulla vita sessuale di qualche personaggio di secondo piano lo fa senza esitazioni. Nei suoi libri spesso veniamo a sapere quante volte al giorno i personaggi vanno in bagno, che salsa preferiscono negli hot dog, qual è il loro telefilm preferito. Dettagli inutili e digressioni fuori luogo? Forse, ma quanto realismo aggiungono queste piccolezze alla storia! Il King migliore (che è quello del romanzo in esame, penso di poterlo dire) riesce a creare personaggi e luoghi così dettagliati e realistici che il lettore finisce per immergersi nella storia al punto da viverla in prima persona, entrando a tutti gli effetti nel mondo del Re del brivido.
I fumetti, i dischi di rock n' roll, i film, i dolciumi: tutti dettagli che rendono viva e reale la vicenda dei sette bambini di Derry negli anni '50. Un affresco bellissimo, una vicenda piena di amicizia, di problemi quotidiani, di scampagnate, zuffe, risate, lacrime, insomma una storia stupenda, spassosa e triste al tempo stesso... che incontra la terrificante storia del clown assassino Pennywise, della città di Derry dove il male è di casa e dove gli adulti sembrano quasi indifferenti al'orrore che si nasconde nel sottosuolo, come se la città avesse accettato da tempo la presenza del male e preferisse distogliere lo sguardo. E Pennywise, cioè It, uccide un bambino dopo l'altro, assumendo di volta in volta sembianze diverse: il pagliaccio, il licantropo, la mummia... Sono le paure più o meno inconsce delle sue vittime a dare a It una forma concreta. E It vive sotto Derry da migliaia o forse addirittura milioni di anni. Dopo l'arrivo dei coloni europei e la fondazione di Derry il mostro si è svegliato e da allora ogni ventisette anni circa torna a colpire, finché nel 1958 non gli si parano davanti sette degni avversari... i bambini protagonisti del romanzo.
"Big" Bill Denbrough, balbuziente ma allo stesso tempo carismatico, è il capo dei Perdenti. Suo fratello George è stato la prima vittima di It nell'autunno del 1957 e Bill non si dà pace, vuole vendicarne la morte. Ben "Covone" Hanscom, il bambino grasso vittima dei bulli della scuola, è afflitto dalla propria obesità ma allo stesso tempo è intelligente e pieno di risorse. Beverly Marsh, oppressa da un padre violento a cui però vuole fin troppo bene, è l'unica ragazza del gruppo e Ben ne è follemente innamorato. Mike Hanlon, l'ultimo a entrare nei Perdenti, è un ragazzo di colore, che da adulto sarà forse il personaggio più importante del gruppo. Richie Tozier è il chiacchierone, il buffone sempre pronto ad imitare e prendere in giro tutto e tutti, anche quando potrebbe finire male. Eddie Kaspbrak è tormentato dall'asma, ma ancora di più da una madre follemente iperprotettiva e ipocondriaca. Infine Stan Uris, il bambino ebreo, intelligente e ordinato, è la il più "normale" del gruppo ma finirà per essere la figura forse più tragica del romanzo.
Questa squadra di ragazzini, perennemente inseguiti dai bulli capeggiati da Henry Bowers, dovrà affrontare il mostro che si nasconde sotto la città, un mostro quasi onnipotente che però riusciranno a fronteggiare e a sconfiggere grazie alla loro amicizia che assume connotati quasi magici, soprattutto nell'ultima parte del romanzo, dove si conclude tanto il primo quanto il secondo scontro con It. Infatti le due vicende, quella passata (1958) e quella presente (1985) vengono narrate in parallelo, cosicché conosciamo i nostri sette eroi sia da bambini che da adulti e progressivamente veniamo ad apprendere il loro carattere i loro destini.
Da adulti i Perdenti (eccetto Mike) hanno tutti lasciato Derry da tempo e hanno fatto carriera: ognuno di loro è ricco e (chi più, chi meno) famoso, ma quando il passato torna a bussare alla loro porta (anzi, a chiamare al loro telefono) saranno costretti a ritornare nei luoghi della loro infanzia per lo scontro finale...
It è un romanzo lunghissimo, epico, terrificante ma allo stesso tempo dolce ed emozionante: a mio parere le vicende degli eroi, con il passaggio dall'infanzia all'età adulta, sono interessanti quasi più della trama horror! King ci presenta un'opera totale, un quadro ricchissimo e dettagliatissimo, dove la storia della città di Derry incontra quella di It e finisce per scorrere in parallelo alle malefatte del mostro... e ci mostra la provincia americana in due epoche diverse, uno spaccato realistico e al contempo fantastico. Come dice King nella dedica a inizio romanzo, la magia esiste... e sicuramente questo libro è magico come pochi altri.

giovedì 19 novembre 2009

Principi d'Ambra, mondi d'Ombra


Roger Zelazny, Le Cronache di Ambra (Chronicles of Amber, 1970-1978)
Un uomo al risveglio si ritrova bloccato a letto, ricoperto di bende e con le gambe ingessate. Come se non bastasse, è completamente privo di memoria, al punto da non conoscere nemmeno la propria identità; l'unica cosa che sa è che ha avuto un incidente d'auto e che è questa la causa del suo attuale stato. Sembra proprio che si trovi in una clinica, infatti ben presto gli infermieri cercano di fargli un'iniezione, nonostante il nostro protagonista si senta perfettamente bene, come dimostra il fatto che le fratture alle gambe siano perfettamente guarite. E l'uomo si rende conto ben presto che lo stordimento che ha colpito i suoi sensi è causato proprio dalle iniezioni che gli vengono regolarmente praticate. Dunque è tenuto in quel luogo contro la sua volontà: decide di ribellarsi, fuggendo con una notevole somma di denaro e l'indirizzo della persona che l'ha fatto rinchiudere lì: Evelyn Flaumel, sua sorella. Nel frattempo scopre anche il proprio nome: Carl Corey. Carl è deciso a scoprire la verità, vuole sapere perché è stato imprigionato in quella clinica privata e soprattutto scoprire chi è lui stesso. Così inizia Nove principi in Ambra, primo romanzo dell'ormai classico ciclo fantasy di Roger Zelazny...
E dire che, a leggere il primo capitolo riassunto fin qui, la storia sembrerebbe non avere proprio niente di fantasy! Più un thriller alla The Bourne Identity, forse, eppure ben presto l'autore cambia completamente le carte in tavola, rivelando la vera identità di Carl Corey (il cui vero nome è Corwin) e dei suoi fratelli e sorelle.
C'è da dire che il ciclo, formato da cinque romanzi (tutti abbastanza brevi, sulle 150 pagine l'uno), è strutturato in maniera tale che un riassunto o anche solo una descrizione della cosmologia della saga diventerebbe un unico grande spoiler: infatti Zelazny narra la storia dal punto di vista del protagonista, che essendo privo di memoria scopre gradualmente la natura del mondo, o meglio dei mondi che lo circondano. Il lettore segue Corwin nel suo viaggio alla scoperta della città Ambra e dei Mondi d'Ombra che ne sono le proiezioni, apprendendo un pezzo alla volta la struttura del cosmo e la vera natura dei personaggi coinvolti nella vicenda. Quindi chi volesse godersi appieno il viaggio teoricamente dovrebbe interrompere qui la lettura. Anche se basta leggere la quarta di copertina per scoprire già fin troppo...
Corwin è uno dei nove principi a cui si riferisce il titolo del primo romanzo, tutti figli di Oberon, signore di Ambra. Gli altri otto sono Eric, Random, Bleys, Julian, Caine, Gérard, Benedict e Brand. Ai figli maschi si aggiungono le femmine: Flora, Deirdre, Llewella e Fiona. Ci sono stati altri fratelli e sorelle, generati nel corso dei millenni, ma alcuni sono morti e altri scomparsi. Tutti i figli di Oberon hanno capacità straordinarie (tra cui una forza sovrumana e una notevole capacità di rigenerazione) e un'altrettanto straordinaria ambizione: da quando Oberon è scomparso, si è scatenata una lotta per il potere in cui i vari fratelli non esitano a complottare gli uni contro gli altri, stringere alleanze tra di loro e creare vaste cospirazioni. Insomma l'intrigo domina ad Ambra e tutti sognano la corona.
Ma che cos'è Ambra? Una città, un regno e il centro del multiverso. Infatti Ambra, tra tutti i reami che compongono il creato, è l'unico vero mondo: tutte le altre realtà non sono che ombre, pallide imitazioni di questa città perfetta. Quindi anche il "mondo reale" che conosciamo è un'Ombra. I figli di Oberon sono in grado di viaggiare tra le Ombre, di passare da un mondo all'altro e, forse, di plasmare gli stessi mondi con la propria volontà. Essendo virtualmente immortali, hanno passato innumerevoli millenni a viaggiare, cercando mondi che fossero di loro gradimento, regni da governare e terre dove vivere mille avventure. Possiedono anche dei tarocchi magici. creati dal pazzo Dworkin, che permettono loro di comunicare l'uno con l'altro anche a interi mondi di distanza e di viaggiare istantaneamente attraverso le carte stesse. Tuttavia Ambra è sempre stata il luogo a cui sono più legati, quello che più desiderano... e per il quale sono disposti a uccidersi tra loro. Al momento è Eric, l'arcinemico di Corwin, a detenere il potere in Ambra, spalleggiato da alcuni dei fratelli. Ma anche Corwin troverà degli alleati e viaggerà attraverso molti mondi fino a giungere a casa per sfidare suo fratello...
La saga è composta, come si è detto, da cinque romanzi: Nove principi in Ambra (Nine Princes in Amber, 1970), Le armi di Avalon (The Guns of Avalon, 1972), Il segno dell'unicorno (Sign of the Unicorn, 1975), La mano di Oberon (The Hand of Oberon, 1976) e Le Corti del Caos (The Courts of Chaos, 1978). Le avventure di Corwin e dei suoi alleati e nemici (ma le alleanze cambiano fin troppo spesso!) si svolgono in molti mondi diversi, ma al centro di tutto c'è sempre la città di Ambra. La quale ha poi due città gemelle, Arbma (un reame subacqueo speculare ad Ambra, ovviamente chiamato Rebma nell'edizione originale) e Tir-na Nog'th (la sognante città celeste, raggiungibile solo in alcune ore della notte). Ad Ambra si contrappongono le Corti del Caos, il luogo dell'eterno mutamento, instabili ed anarchiche per definizione, poste all'altra estremità dei mondi d'Ombra.
Inizialmente la storia riguarda la lotta per il potere tra Corwin e Eric, anche se all'orizzonte si profila un'oscura minaccia che si prospetta più grave di ogni lotta tra fratelli. Dal terzo romanzo (dove entra in scena un personaggio fondamentale, Brand) la vicenda si fa più complessa e surreale, fino a toccare punte di riflessione metafisica che finiscono per avere la meglio sull'azione, il che personalmente ho apprezzato solo fino ad un certo punto. Zelazny (1937-1995) è uno scrittore acuto e intelligente, un maestro della creazione di mondi assurdi, di complesse mitologie e di eroi semidivini (anche nei suoi capolavori fantascientifici, come Io, l'immortale o Signore della luce), ma alla fine dà forse il meglio nelle descrizioni dei duelli, delle rocambolesche avventure dei suoi eroi, delle epiche battaglie... senza nulla togliere all'elaborata cosmogonia di Ambra, per carità. In ogni caso la storia è piena di duelli, intrighi, tradimenti, il tutto in un'ambientazione medieval-rinascimentale che però spesso viene in contatto con il nostro mondo (con alcuni esiti curiosi, come i guerrieri medievali che fumano sigarette) e con altre realtà, come Avalon o vari strani mondi popolati da creature mostruose e popoli incredibili. Una vera festa dell'immaginazione, oserei dire, a patto di non perdersi nelle quasi psichedeliche divagazioni metafisiche degli ultimi tre romanzi, che rimangono comunque affascinanti.
I nomi dei personaggi e dei luoghi non sono particolarmente originali: Zelazny pesca da varie mitologie, dalle leggende arturiane e da Shakespeare, ma complessivamente tutte queste citazioni non stonano affatto, anzi danno una certa profondità mitica agli eventi narrati. La narrazione è in prima persona, così sappiamo per certo che Corwin non morirà alla fine della vicenda (anzi, già nei primi romanzi il protagonista stesso ci dà delle indicazioni su dove si trova mentre scrive le sue vicende). Lo stile è particolarissimo: Corwin alterna un tono ironico e quotidiano a grandi punte di lirismo, specie nei dialoghi con l'odiato Eric, dove nella versione originale compaiono un tono e un lessico che sembrano presi pari pari da Shakespeare. Certamente una saga epico-mitologica come questa, narrata in prima persona, potrebbe apparire un po' particolare. Eppure il risultato globale, stilisticamente, è decisamente notevole.
Le Cronache di Ambra sono un ciclo ormai classico della fantasy, una vera pietra miliare nella storia del genere. Consiglio quindi la lettura della pentalogia a tutti gli appassionati di fantasy, che troveranno certamente pane per i loro denti. L'unico appunto negativo è, come detto sopra, l'eccessivo divagare metafisico nella seconda metà della saga, ma questo non ne scalfisce troppo la bellezza. La saga continua poi in un secondo ciclo di altri cinque romanzi, al momento irreperibili in italiano (anche se esiste un omnibus in inglese con tutte e dieci le parti della saga), con un nuovo protagonista che qui non svelo...
Un ciclo epico e affascinante, consigliato a tutti gli amanti del genere fantasy e non solo.

martedì 25 agosto 2009

Un Miller d'annata... semplicemente grandioso!


Bazzicando per una biblioteca in cerca di letture interessanti (ricerca che ha fruttato anche il bellissimo Il gioco di Ender) mi sono trovato davanti questo volume a fumetti, nella vecchia edizione Rizzoli. Essendo un fan abbastanza sfegatato di Frank Miller, l'ormai celeberrimo autore di Sin City e 300, non potevo che prendere subito in prestito questo Ronin, una delle opere storiche del fumettista americano, che - mea culpa - non avevo ancora letto. Si tratta di una miniserie cyberpunk in sei parti uscita per la DC Comics tra il 1983 e il 1984. Il Miller che qui vediamo all'opera è reduce dai grandi successi marvelliani del suo memorabile primo ciclo di Daredevil e delle miniserie Wolverine scritta da Chris Claremont. Manca ancora qualche anno a Il ritorno del Cavaliere Oscuro, pietra miliare del fumetto americano e non, storia epocale per quanto riguarda il personaggio di Batman e, per il sottoscritto, il capolavoro assoluto del buon Frank. Diciamo che Ronin, dal punto di vista grafico e narrativo, si pone a metà strada tra queste due fasi della produzione di Miller: i disegni sono decisamente più sperimentali e stilizzati rispetto al periodo Marvel e il peculiare tratto tipico della suddetta saga dell'Uomo Pipistrello si sta già sviluppando, con notevoli soluzioni grafiche. Ma quello che colpisce di più è il modo in cui Miller suddivide la pagina, scandisce l'azione vignetta per vignetta, crea un ritmo frenetico e coinvolgente al massimo. Il tratto dunque evolve, mentre la geniale abilità narrativa di Miller, maestro della scansione dinamica della tavola, arriva a livelli superiori a quanto già visto nelle opere precedenti. Abbondano i duelli con le katane, i combattimenti feroci e dinamici, insomma quanto già visto per esempio nella miniserie su Wolverine dell'82 - ma con un impatto visivo ancora maggiore. Ed è proprio in Ronin che Miller inizia ad andare oltre la narrazione tipica dei comics americani, a favore di tavole dettagliatissime e suddivise in piccole vignette che si alternano a epiche splash page e addirittura enormi tavole panoramiche (il volume contiene perfino una splash page quadrupla, ovviamente pieghevole), il tutto con un gusto narrativo che deve molto ai manga. In effetti l'Oriente è da sempre presente nei suoi fumetti, già a partire dal suo Devil dove le arti marziali diventano un elemento fondamentale (con personaggi come Elektra, Stick, i ninja della Mano, Bullseye). E guarda caso la vicenda di Ronin inizia nel Giappone feudale del XII secolo, prima di spostarsi in un prossimo futuro "ovviamente" violento e distopico.
Un fumetto cyberpunk, dunque: proprio in quegli anni il movimento fantascientifico capeggiato da William Gibson si stava imponendo sulla scena letteraria e cinematografica (non dimentichiamo lo splendido Blade Runner). Eppure Miller va oltre le convenzioni del genere, inserendovi come "elemento di disturbo" un personaggio che sembra spuntato direttamente da un film di Kurosawa. L'ambientazione è New York City e l'anno potrebbe essere il 2030 o giù di lì; la città è un luogo devastato, violento e pericoloso, dove brutali gang opprimono i poveri cittadini e gruppi di selvaggi vagano in cerca di cibo, mentre le fogne sono la casa di orrendi mutanti cannibali simili a zombi. Al centro della città, però, sorge il gigantesco complesso chiamato Aquarius, dove un esercito di scienziati lavora (e ci mancherebbe altro) alla realizzazione delle sorti magnifiche e progressive dell'umanità: il mondo è in crisi e gli idealisti creatori del complesso vorrebbero risollevare la civiltà dalla polvere. Aquarius è gestito da Virgo, un'intelligenza artificiale che si manifesta con il volto di una benevola vecchietta. Virgo gestisce buona parte delle funzioni della struttura, basata sui biocircuiti ideati dallo scienziato Peter McKenna. Questa tecnologia (graficamente un altro fiore all'occhiello dell'opera) crea nuove frontiere per la scienza e giocherà un ruolo importante nella vicenda. Un altro elemento chiave è Billy, un ragazzo nato senza gambe e braccia che però possiede grandi capacità telecinetiche che i capi di Aquarius sfruttano per le loro ricerche sui biocircuiti e gli arti bionici. Billy ha un legame particolare con Virgo ed è innamorato di Casey, moglie di McKenna e capo della sicurezza del complesso. Ed è proprio Billy che inizia ad avere visioni legate al Giappone: infatti il volume si apre con una sua visione dell'anonimo samurai protagonista della vicenda, il quale perde il suo amato padrone Ozaki, ucciso dal demone Agat. Il giovane samurai giura vendetta e diventa un ronin, un guerriero senza padrone, che per molti anni combatte e si allena per poter infine affrontare il demone. Alla fine vediamo, sempre attraverso Billy, il ronin che riesce a sconfiggere Agat, morendo però anche lui in un attacco suicida. A questo punto scopriamo che le loro anime sono rimaste nel mondo, intrappolate nella spada di Ozaki che li ha uccisi entrambi, e ora il ronin si è incarnato nel corpo dello stesso Billy, mentre Agat si avvicina per distruggere il suo eterno nemico. Lo scontro avrà conseguenze impreviste: Billy inizia a trasformarsi nel guerriero giapponese e, aiutato da Virgo, si crea degli arti bionici con la tecnologia di Acquarius. In questo modo il ronin assume di nuovo una forma fisica... e inizia la sua avventura in un mondo completamente diverso, mentre il maligno Agat prende il posto del direttore di Aquarius, Mr. Taggart.
Già dalle prime pagine si capisce che la storia è piuttosto particolare, specie per l'epoca in cui è stata realizzata. E Miller non manca di stupire mentre la vicenda procede, fino a una serie di sconvolgenti rivelazioni finali, che non mancheranno di sorprendere il lettore. Un fumetto particolare, di genere ibrido, fatto di azione ma anche di riflessione, alternando scene di combattimento e momenti più tranquilli con dialoghi di ottima fattura. Il mondo futuro descritto in Ronin non è originalissimo, ma la sua rappresentazione grafica è notevolissima e, in fondo, è la vicenda che prende il sopravvento sull'ambientazione. Davvero grandioso.
Insomma un'opera davvero valida di Frank Miller, autore di cui personalmente prediligo la produzione supereroica anni '80, il cui apice è rappresentato da Il ritorno del Cavaliere Oscuro e dalla struggente Rinascita di Devil, disegnata da David Mazzucchelli (come anche Batman: Anno uno, altra miniserie fondamentale). Il Miller di queste saghe è duro e disincantato, ma nelle storie si nota ancora un gusto epico e una profondità narrativa e psicologica notevole, mentre devo ammettere di non aver gradito così tanto il cinismo puro e la violenza gratuita di Sin City. In ogni caso Ronin è un altro capolavoro milleriano del periodo "classico", che consiglio a chiunque ami il fumetto d'azione, la fantascienza e le storie di samurai. E si parla anche, sulla scia del successo delle opere di Miller a Hollywood, di un futuro film di Ronin...

mercoledì 12 agosto 2009

Hard SF... hard as rock!!!


Robert J. Sawyer, La genesi della specie (Hominids, 2002)

Torniamo alla fantascienza con questo romanzo veramente interessante dello scrittore canadese Robert J. Sawyer, primo capitolo della trilogia Neanderthal Parallax. La genesi della specie è stato pubblicato in origine dalla Fanucci e in seguito ristampato dalla Mondadori nel numero di Urania che vedete qui a fianco. I capitoli successivi della trilogia sono poi usciti sui numeri 1542 e 1547 della storica collana.
Il romanzo appartiene di diritto al genere hard SF, essendo dedicato maggiormente alla fisica quantistica e alle teorie sui mondi paralleli che all'azione in quanto tale. Diciamo pure che è un libro da leggere più per il piacere intellettuale di certe riflessioni scientifiche o sociologiche che per un intreccio coinvolgente e pieno di colpi di scena. Addirittura in fondo al romanzo è riportata la bibliografia di riferimento della versione italiana, anche se si tratta più che altro di opere di archeologia e antropologia. Le parti strettamente scientifiche possono apparire abbastanza ostiche (chi scrive era un asino nelle materie scientifiche e non si vergogna ad ammetterlo), ma tutto sommato anche i passi più ardui scivolano via abbastanza bene durante la lettura. L'importante per chi è a digiuno di fisica è non lasciarsi scoraggiare dalle prime due pagine del romanzo, dedicate all'acqua pesante e ai neutrini! :)
Ma passiamo al libro in quanto tale... Come si deduce dalla copertina e dal titolo della saga, ci sono di mezzo gli uomini di Neanderthal, ma come vengono usati da Sawyer? In poche parole, l'autore immagina un universo in cui sono stati i nostri scimmieschi cugini a soppiantare l'homo sapiens, che si è estinto migliaia di anni fa. I Neanderthal si sono evoluti in una civiltà molto avanzata dal punto di vista tecnologico e molto vicina a certe utopie, ma anche distopie: la loro società non conosce praticamente il concetto di privacy, cosa che permette un attento controllo degli individui e la pressoché totale assenza di crimini, ma d'altra parte esclude l'intimità... non che agli abitanti di questo mondo la cosa importi molto, visto che molti tabù propri della nostra umanità non esistono in questo mondo alternativo. Potrebbe sembrare una via di mezzo tra Il mondo nuovo e 1984, anche se in chiave molto più soft. In generale però Sawyer ci mostra la società dei Neanderthal in una luce piuttosto positiva, criticando al contempo i mille difetti di noi poveri homo sapiens. E in effetti i due mondi si incontrano quando due scienziati Neanderthal, Ponter Boddit e Adikor Huld, tentano un esperimento con un avanzatissimo computer quantistico che però, accidentalmente, catapulta Ponter nel nostro universo. Il nostro straniero in terra straniera finisce catapultato in un altro laboratorio che si trova nello stesso punto del pianeta dove viveva lui nel suo universo - che per noi è Sudbury, in Canada. Qui viene soccorso da un gruppo di scienziati, i quali in seguito avranno occasione di conoscerlo meglio. Ponter, come tutte le persone nel suo mondo, è provvisto di un Companion, una sorta di computer/IA impiantato nel suo polso che apprende rapidamente l'inglese e consente così all'uomo di Neanderthal di comunicare con gli umani. Inizia così l'avventura di questo vero e proprio alieno in un mondo che per lui appare strano tanto quanto il suo appare al lettore. La narrazione alterna scene che avvengono in entrambi i mondi: infatti, mentre Ponter impara a conoscere l'universo in cui è finito, Adikor deve affrontare un'accusa di omicidio - dopotutto Ponter è sparito senza traccia.
Dunque abbiamo due fili narrativi: nel primo Ponter affronta il mondo degli umani e ci dà modo di scoprire le differenze tra le concezioni scientifiche, sociologiche e religiose tra i due mondi (i Neanderthal sono totalmente atei e la loro specie non ha mai supposto l'esistenza di una dimensione soprannaturale); quindi assistiamo ad interessanti dibattiti tra il protagonista e i vari scienziati umani, tra cui l'antropologa Mary Vaughan, la "protagonista umana" del romanzo. Mary ha subito un'esperienza terribile (lo stupro) e per tutta la durata del libro fa i conti con questo dramma. Avrà un rapporto particolare con Ponter che si svilupperà nel corso della storia. Un aspetto particolare del romanzo è che i vari capitoli (corrispondenti ai giorni in cui si svolge la vicenda, su un mondo e sull'altro) iniziano con divertenti articoli presi da internet e riguardanti Ponter: vediamo come i media e le autorità politiche, scientifiche e religiose commentano un evento straordinario come la comparsa di un uomo di Neanderthal nel nostro mondo.
Il secondo filo narrativo ci mostra i tentativi di Adikor di difendersi dall'accusa di omicidio: scopriamo così come funziona la giustizia nel mondo dei Neanderthal e approfondiamo molti aspetti della loro società. Non starò qui a raccontare tutto: essendo questo un romanzo di idee più che di avventure e colpi di scena, è più divertente scoprire per conto proprio tutte le brillanti idee che l'autore ha infuso nel romanzo.
Che dire dunque? Un gran bel libro, anche se è una lettura per il cervello più che per il cuore o le viscere, se così vogliamo dire. In un certo senso, come fanno notare altri recensori, le vicende e gli intrecci psicologici dei personaggi passano in secondo piano rispetto all'impianto teorico del romanzo; insomma, più idee che fatti. Ma trattandosi di hard SF sappiamo già a cosa andiamo incontro... anche se le teorie sugli universi paralleli esposte da Sawyer penso siano interessanti anche per chi (come il sottoscritto, appunto) non è proprio esperto in materia.
Lettura consigliata quindi, anche se forse il romanzo non è di facilissima reperibilità, almeno in edizione Urania. Purtroppo gli arretrati costano veramente tanto, per una scelta dell'editore che non ho mai capito. A questo punto si può reperire la vecchia edizione Fanucci, anche se l'editore romano ha pubblicato solo questo primo volume della trilogia. In ogni caso penso che leggerò volentieri il prosieguo della vicenda, anche perché i due volumetti di Urania sono lì a prendere polvere (insieme a tantissimi altri libri ancora da leggere) da troppo tempo! :)

venerdì 10 luglio 2009

Alle radici dell'Epica


Steven Erikson, The Malazan Book of the Fallen (1999-?)

Cominciamo con un mea culpa: finora il genere fantasy è stato assente dal mio blog, un po' perché ero dedito a letture di altro tipo, un po' perché dopo anni passati a leggere di maghi, draghi, principesse e spade incantate ero un po' stufo dei soliti luoghi comuni tipici del genere (anche se, in fondo, il dire che la fantasy è un genere fatto di luoghi comuni è esso stesso un luogo comune, no?). Ultimamente però, leggendo le Cronache di Ambra di Roger Zelazny, ho riscoperto l'amore per questo genere così epico e avventuroso... Al momento la suddetta saga è in lettura (ho letto i primi due romanzi, ne mancano tre quindi... poi vediamo se è recuperabile, anche solo in inglese, la pentalogia successiva), anche se nel frattempo ho iniziato a leggere Reaper's Gale, il settimo gigantesco volume della saga di Steven Erikson, della quale appunto mi appresto a parlare in questa sede.
Una precisazione: il genere grammaticale del termine "fantasy" è incerto, dato che in particolare negli ultimi anni si è imposto il genere maschile, dunque "il fantasy". Il sottoscritto però è sempre stato abituato a leggere "la fantasy", come si diceva una volta, ergo se userò solo il femminile nessuno si stupisca!
Erikson e il Libro Malazan dei Caduti, dunque... e già qui casca l'asino: in Italia la saga è nota, inspiegabilmente, come La Caduta di Malazan, un titolo fuorviante e assolutamente non fedele allo spirito dell'opera. Infatti il "libro" di cui si parla, stando allo stesso autore, è un riferimento al volume in cui Napoleone scriveva i nomi dei suoi soldati caduti, affinché non fossero dimenticati. La saga dei Malazan, una lunghissima e cruenta epopea di guerra, violenza e sopraffazione, è una sorta di "ciclo dei vinti" (i puristi mi perdonino il riferimento a Verga), in cui si narrano le vicende delle vittime della guerra, persone loro malgrado coinvolte in un'interminabile sequenza di conflitti e gettate in un mondo di caos e brutalità insensata. Come se lo scopo di Erikson fosse fissare nella memoria le storie di tanti personaggi che si perdono nelle vicende di un mondo immaginario vastissimo, complesso, stratificato e alla fine fondamentalmente incomprensibile. Dunque la traduzione italiana del titolo non trasmette questo profondo significato insito nell'originale, oltre ad essere sbagliata in senso stretto: Malazan (malazano, insomma) è un aggettivo, riferito all'Impero Malazan e ai suoi abitanti, il cui nome deriva dalla città di Malaz. Sarebbe stato più corretto (anche se sbagliato per quanto riguarda la storia in sé) un titolo come La Caduta dei Malazan... beh, basta con queste sottigliezze, andiamo avanti.
Raccontare la saga dei Malazan e il mondo in cui si svolge è un'impresa che definire arduo è davvero poco: si tratta di un universo fatto di molte dimensioni parallele, anche se tutto ruota intorno ad un unico mondo "materiale". Già solo il pianeta principale su cui si svolgono le vicende, però, presenta una ricchezza e una profondità davvero senza precedenti nella storia del genere fantasy. Innanzitutto i vari romanzi sono ambientati su continenti diversi: il primo e il terzo a Genabackis, un continente che lotta strenuamente contro le mire espansionistiche dell'Impero Malazan; il secondo e il terzo nel subcontinente di Sette Città, una sorta di microcosmo fatto di innumerevoli regni, città, tribù e fazioni sottomesse all'Impero ma sempre sul punto di esplodere in una ribellione aperta, come poi in effetti succede. Il quinto romanzo poi ci porta in una terra prima sconosciuta, dove assistiamo ad un conflitto tra due popoli, uno umano e l'altro no. Nel corso della saga le vicende che si svolgono in regioni diverse del mondo si intrecciano spesso, così come i personaggi, che viaggiano da un continente all'altro nel corso delle loro peregrinazioni. Questo mondo è talmente ricco che per crearlo ci sono voluti ben due pazzoidi: il nostro Steven e il suo amico Ian Cameron Esslemont, a sua volta autore di una serie di romanzi collegati al ciclo principale, che ne narrano alcuni retroscena (purtroppo per ora le opere di Esslemont sono tutte inedite in Italia). I Nostri hanno iniziato a creare questa ambientazione nei primi anni '80, come ambientazione per un gioco di ruolo; successivamente hanno pensato di farne il copione per un film, ma alla fine quel progetto è naufragato e la storia progettata da Erikson è diventata il primo romanzo della serie, I Giardini della Luna (Gardens of the Moon, 1999). La saga è stata fin dall'inizio concepita come una serie di dieci libri: al primo sono seguiti La Dimora Fantasma (Deadhouse Gates, 2000), Memorie di Ghiaccio (Memories of Ice, 2001), La Casa delle Catene (House of Chains, 2002), Maree di Mezzanotte (Midnight Tides, 2004), I Cacciatori di Ossa (The Bonehunters, 2006), Reaper's Gale (2007) e Toll the Hounds (2007). Presto dovrebbe uscire il nono volume, Dust of Dreams, mentre l'ultimo si intitolerà The Crippled God. In Italia, dunque, sono usciti i primi sei romanzi del ciclo, anzi i primi cinque e metà del sesto (a causa della mole veramente mastodontica I Cacciatori di Ossa è stato spezzato in due volumi, come già Memorie di Ghiaccio).

***

Ma dunque, di cosa si parla in questi romanzi? Come detto sopra, fondamentalmente si parla di guerra. Il primo libro inizia con un assedio e tutto il romanzo ruota intorno agli Arsori di Ponti, una squadra di veterani Malazan che rimarranno protagonisti per tutta la saga (insieme a uno stuolo di nuovi personaggi che compaiono man mano che la vicenda va avanti). In poche parole, I Giardini della Luna narra le vicende dell'Impero negli anni successivi all'apparente uccisione del suo fondatore, l'Imperatore Kellanved, da parte dell'assassina Surly, salita poi al trono con il nome di Laseen. L'ascesa dell'Imperatrice porta ad una spietata purga dei fedelissimi di Kellanved, gli stessi che hanno permesso all'Impero di espandersi, una battaglia dopo l'altra. Gli Arsori di Ponti, eroi della campagna di Sette Città, vengono traditi durante l'assedio della città di Pale sul continente di Genabackis e solo pochi si salvano. Tra questi troviamo il carismatico sergente Whiskeyjack, il caporale Kalam Mekhar (un abilissimo sicario dell'Artiglio, la setta degli assassini imperiali fondata da Surly/Laseen), l'astuto e potentissimo mago Ben lo Svelto, il geniere ("zappatore") esperto di esplosivi Fiddler e altri ancora. Gli Arsori superstiti si ritrovano con un nuovo giovane capitano, Ganoes Paran (un personaggio fondamentale per la saga) e una nuova recluta, una ragazzina che si fa chiamare Dispiacere (Sorry nell'originale) e che, benché giovanissima, è già una spietata ed efficientissima assassina. In realtà Dispiacere (che cambierà nome verso la fine del romanzo) è stata posseduta dal dio dei sicari, Cotillion, alleato di Tronod'Ombra (Shadowthrone). I due sono i padroni della Casa dell'Ombra, umani divenuti Ascendenti (ovvero divinità) e fin dall'inizio è chiaro che Tronod'Ombra non è altro che Kellanved, che brama vendetta contro Laseen, e il suo amico e alleato Dancer, che da mortale fu il più grande tra gli assassini. Le armi più potenti di Tronod'Ombra sono i suoi Segugi dell'Ombra, sette enormi mastini capaci di sterminare un intero esercito (come in effetti avviene all'inizio del romanzo). I due dèi iniziano a tessere un vasto intrigo, mentre gli Arsori di Ponti viaggiano verso Darujhistan, l'ultima e la più grande delle città di Genabackis schierate contro l'Impero. Tra gli alleati dei ribelli spiccano due Ascendenti antichi e potentissimi: Anomander Rake, il signore dei Tiste Andii, i Figli dell'Oscurità (che somigliano abbastanza agli elfi oscuri, se vogliamo cercare un paragone... Rake stesso invece è una sorta di Elric all'ennesima potenza) e Caladan Brood, un guerriero che compare a tutti gli effetti solo nel terzo romanzo. A Darujhistan, dove si svolge gran parte del romanzo, assistiamo ad una vicenda di intrighi, delitti, cospirazioni e sinistre alleanze che rende questo romanzo leggermente diverso da quelli successivi, più marcatamente bellici o di viaggio. Conosciamo un altro personaggio fondamentale, il giovane ladruncolo Crokus. L'intrigo portato avanti dagli dèi dell'Ombra si mescola a quello ordito dall'Imperatrice, alle trame di Rake e dei maghi di Darujhistan, alle interferenze di Oponn, una divinità doppia (fratello e sorella, i Gemelli della Fortuna). Nel frattempo assistiamo ad altre vicende come la breve e drammatica relazione tra il capitano Paran e la maga Tattersail (ne vedremo le conseguenze nel terzo romanzo), le folli azioni del mago Hairlock, la cui anima è confinata in una bambola di legno (!), gli intrighi e le schermaglie tra gli aristocratici di Darujhistan... Alla fine compare Raest, un Tiranno Jaghut, creatura antichissima e di grande potere, cosicché le vecchie alleanze e inimicizie crollano davanti al pericolo e infine una parte dell'esercito Malazan decide di diventare fuorilegge, evento che avrà le sue ripercussioni nel terzo volume, l'epicissimo Memorie di Ghiaccio. Qui un nuovo nemico, il Dominio di Pannion, rende necessaria un'alleanza prima impensabile, mentre una guerra violentissima e senza tregua sconvolge le terre a sud di Darujhistan, dove i folli seguaci del Veggente Pannion massacrano e divorano le loro vittime perseguendo una folle concezione religiosa. Qui viene fuori la centralità di Paran, il suo ruolo nello schema cosmico. Pian piano la vicenda inizia a prendere forma, mentre fa la sua comparsa il Dio Storpio, che potremmo definire l'Oscuro Signore di turno, anche se farlo sminuirebbe l'operato di Erikson, che è di un'originalità davvero senza precedenti. Infatti la storia è intricatissima e coinvolge decine di razze, popoli, eserciti, divinità ed eroi, in un affresco che va dalle fantasy urbana alla Leiber (taverne, ladri, sicari, complotti) a quella prettamente bellica fino alla high fantasy più folle ed enorme, con gli dèi stessi che intervengono nelle sorti dell'universo, finendo spesso per diventare loro le pedine, mentre mortali ambiziosi cercano il potere. La magia è ovunque, pervade il mondo con le sue infinite manifestazioni: i maghi attingono il loro potere dai Canali, dimensioni parallele che spesso sono dei veri e propri mondi. C'è poi da dire che le razze non umane sono tantissime e molto originali. Troviamo così i Tiste, tre popoli che si potrebbero paragonare agli elfi (sempre sminuendo il lavoro dell'autore, però): i Tiste Andii, i misteriosi Figli dell'Oscurità; i Tiste Edur, i feroci e barbarici Figli dell'Ombra; e i Tiste Liosan, i nobili e arroganti Figli della Luce. Ci sono poi i Teblor, barbari giganti dal passato glorioso e da loro stessi dimenticato, i Barghast, un altro popolo barbarico, o i Moranth, strane creature forse simili agli insetti e alleate dell'Impero Malazan, al quale forniscono la polvere esplosiva per le loro devastanti munizioni. Alcune razze sono talmente antiche e potenti da essere delle vere e proprie divinità: i Jaghut, creature alte, magre e zannute la cui potente e antica magia deriva dal canale del ghiaccio, l'Omtose Phellack; i misteriosi Forkrul Assail; i rettiloidi K'chain Che'Malle, una razza quasi del tutto estinta da centinaia di migliaia di anni, ma che possedeva tecnologie incredibili. Ma forse la creazione più particolare di Erikson sono i T'lan Imass, un'intera razza di non-morti! Gli Imass, 300.000 anni fa, erano dei proto-umani abitanti delle caverne, simili agli uomini di Neanderthal, divisi in clan e tribù. Dato che i potentissimi ed immortali (ma poco numerosi) Jaghut erano un potenziale pericolo, visto che la loro razza a volte generava i Tiranni, esseri potentissimi che costituivano un vero pericolo per tutta la vita del pianeta, e anche a causa dell'arroganza di queste creature così potenti, gli Imass giurarono di sterminarli senza pietà; ma per farlo dovevano diventare immortali, così grazie ai loro sciamani (i Divinatori) crearono un terribile e potentissimo Rituale collettivo, diventando non-morti in modo da poter compiere il loro genocidio senza essere più ostacolati dalla mortalità. I T'lan Imass sono creature terribili, incredibilmente antiche e prive di umanità, eppure affascinanti. Il loro più grande campione, Onos T'oolan detto Tool, è uno degli eroi più interessanti della saga. Tool diventerà amico del mortale Toc il Giovane, un altro dei protagonisti della vicenda.

Ma cosa accade nei romanzi successivi? Come detto sopra, il secondo romanzo (La Dimora Fantasma) è ambientato a Sette Città, con tanti nuovi personaggi (più alcuni già visti nel primo libro). La storia ruota intorno alla ribellione contro l'Impero, che porta ad una serie di spietate stragi; il Pugno Coltaine, un tempo nemico e ora comandante delle forze Malazan, deve scortare migliaia di profughi attraverso il subcontinente, diretto all'ultima piazzaforte imperiale, la città di Aren. Il suo esercito deve affrontare la ferocia dei ribelli e questo romanzo è forse il più crudo e truculento della saga, davvero roba per stomaci forti. Fino alla terribile battaglia finale, dove la prosa di Erikson raggiunge un livello di pathos epico davvero ineguagliabile. E intanto seguiamo tantissime altre vicende, con delitti, tradimenti, rivelazioni sconvolgenti... Qui compaiono anche due personaggi davvero fenomenali: Icarium, un mezzosangue Jaghut, e il suo compagno di viaggio Mappo, un barbaro della razza Trell. I due sono guerrieri potentissimi che vagano di paese in paese, mentre Icarium cerca la verità su se stesso e sul proprio passato, una verità terribile che Mappo preferirebbe tenergli nascosta. Altri nuovi pesonaggi sono lo storico imperiale Duiker, il sacerdote mutilato Heboric e tanti altri ancora. Assistiamo al viaggio di una nave attraverso un misterioso canale oceanico, alla sofferenza degli schiavi nelle miniere imperiali, a mille altre avventure e piccole o grandi tragedie. Ne La Dimora Fantasma compaiono anche le sorelle di Ganoes Paran, Tavore e Felisin, la cui triste e drammatica vicenda avrà il suo epilogo nel quarto romanzo, diretto seguito del secondo. Felisin è stata condannata dalla sorella alla schiavitù durante le purghe contro la nobiltà volute dall'Imperatrice: ne nascerà una storia di degrado e disperazione, ma anche un profondo desiderio di vendetta.
La Casa delle Catene narra le conseguenze della ribellione, mentre le forze Malazan al comando di Tavore si riorganizzano per riprendersi le terre perdute. Intanto il Dio Storpio continua a tessere le sue trame, cercando di prendere un posto nel pantheon (questo dio maligno e sofferente proviene da una diversa e sconosciuta dimensione). Non sarebbe giusto rivelare l'intera trama della saga, quindi mi fermo qui. C'è da dire però che questo romanzo introduce un personaggio fondamentale, già apparso in precedenza come figura di secondo piano, ma che ora acquista un'importanza ed uno spessore enormi: Karsa Orlong, un gigantesco guerriero della razza barbarica dei Teblor, un combattente ferocissimo e indistruttibile, che sfida uomini e dèi nella sua personale epopea. Karsa è l'eroe che decide da solo il suo destino, il guerriero la cui volontà si oppone al fato che vorrebbe incatenarlo e che divora gli uomini più deboli. In questo romanzo compare anche il Tiste Edur Trull Sengar, un rinnegato la cui storia andrà a costituire il quinto romanzo, Maree di Mezzanotte, un enorme flashback dove assistiamo alla guerra tra gli Edur, ridotti a barbari nordici, e i Letherii, un popolo di umani devoti al Dio Denaro e sempre alla ricerca di nuove terre da occupare e nuovi popoli da sottomettere. Purtroppo gli Edur si rivelano un osso più duro del previsto, anche a causa di una blasfema alleanza col Dio Storpio... E così un giovane Edur si proclama imperatore e guida il suo popolo contro gli umani, mentre lui stesso diventa sempre più potente grazie ad una spada che lo rende immortale: ogni volta che viene ucciso risorge e diventa più forte, al punto che la sua ossessione diventa trovare un avversario degno che riesca ad ucciderlo e quindi a rinforzarlo ancora di più. Visto che per il mondo vagano autentiche macchine da guerra come Icarium o Karsa Orlong, il folle imperatore troverà pane per i suoi denti!
I romanzi successivi mischiano le vicende finora raccontate: I Cacciatori di Ossa riprende la vicenda di Sette Città e il conflitto tra i Malazan e i Ribelli, ma vi ricompaiono anche i veterani di Genabackis e gli Edur e i Letherii. Reaper's Gale, che ho da poco iniziato, narra lo scontro tra i Malazan e i Tiste Edur, mentre Toll the Hounds riporta finalmente la vicenda su Genabackis...

***

A questo punto diventa arduo delineare un quadro d'insieme della vicenda: una marea di personaggi, popoli e regni che rendono la storia incredibilmente intricata. Erikson, che è un archeologo e un antropologo, ha creato un universo con una profondità mitologica incredibile,ma che può lasciare spiazzati. Anche la scrittura del Nostro non è semplicissima: la narrazione è estremamente frammentaria e complessa. In effetti Erikson spiega ben poco al lettore: preferisce buttarlo a capofitto in questo ricchissimo universo fantasy, perché impari a nuotare da solo per così dire. Purtroppo per alcuni questo approccio è troppo arduo e difficile, sicché Erikson ha i suoi detrattori. In effetti il primo romanzo, anche se piuttosto lineare a livello di trama, ha una narrazione sincopata e spezzata che rende difficile la lettura, soprattutto all'inizio. Successivamente Erikson è migliorato moltissimo come narratore, ma le trame si sono fatte più complesse, cosicché la narrazione è molto frammentaria, con tantissime vicende parallele, ed è facile perdersi: personalmente ho sempre letto i romanzi della saga abbastanza lentamente, anche perché sono tutti lunghissimi e complicatissimi. Non una lettura da ombrellone, sia chiaro!
C'è da dire che i personaggi non sono facilmente catalogabili come buoni o cattivi: il male assoluto c'è eccome, ma le varie fazioni in lotta non esitano a trucidare innocenti in nome della propria causa e gli eroi stessi sono spesso figure grigie, moralmente incerte e controverse. Lo stesso Karsa Orlong inizia la propria "carriera" come brutale brigante e uccisore di innocenti, arrogante e spietato fino al midollo.
Una particolarità del ciclo dei Malazan è il fatto che gli eventi soprannaturali sono spesso privi di una spiegazione logica: o meglio, i personaggi spesso sanno cosa è accaduto, ma il lettore non è altrettanto fortunato. Inoltre la sospensione dell'incredulità può traballare qualche volta, specie quando i mortali si dimostrano potenti quanto gli dèi, o addirittura gli dèi stessi appaiono talmente deboli e indifesi che sembra strano che siano investiti di tutto quel potere. Può anche sembrare strano che eventi che si sono svolti nell'arco di centinaia di migliaia di anni trovino tutti il loro climax nei pochi anni in cui è ambientata la vicenda. Ma possiamo fare qualche concessione se il risultato finale è così epico... Erikson è strano, signore e signori, non possiamo farci niente! :)
C'è da dire che il dramma e la violenza delle vicende narrate hanno comunque un contraltare più leggero e umoristico: infatti Erikson crea una serie di personaggi folli, imprevedibili ed esileranti che spesso alleggeriscono il tono e spezzano la tensione drammatica. Così abbiamo Kruppe, un ometto di Darujhistan pieno di sé e fastidiosamente chiacchierone, ma molto più scaltro e potente di quanto appaia; Iskaral Pust, uno psicopatico sacerdote di Tronod'Ombra residente nel deserto di Sette Città, circondato da una schiera di scimmie volanti e sempre in conflitto con la moglie Mogora, una strega mutaforma non meno folle di lui; infine Tehol Beddict, un uomo d'affari impoverito di Lether che compare nel quinto romanzo, i cui strampalati dialoghi col suo enigmatico maggiordomo Bugg rendono Maree di Mezzanotte forse il più "umoristico" tra i romanzi del ciclo. Anche gli stessi soldati Malazan sono spesso protagonisti di scene da caserma folli ed esileranti, che a volte finiscono per causare problemi all'intero esercito.
Non mancano nemmeno scene mitologiche ambientate in epoche remotissime come nel prologo di Memorie di Ghiaccio o in quello, da brividi, di Maree di Mezzanotte. Insomma c'è un po' di tutto, in un affresco talmente enorme e complesso che è davvero impossibile coglierne tutte le sfumature... e in effetti tutta la mole di testo che ho scritto è estremamente riduttiva, dato che la saga è talmente enorme da richiedere decine se non centinaia di pagine per essere analizzata a dovere, con i suoi innumerevoli popoli e le sue centinaia di millenni di storia.
Insomma The Malazan Book of the Fallen è qualcosa di enorme, folle e intricato, ma allo stesso tempo epicissimo e talmente profondo da rivaleggiare con la storia e la mitologia del mondo reale... Lo stile particolare dell'autore può piacere o meno, ma sicuramente si tratta della saga più potente ed originale della fantasy contemporanea.

venerdì 19 giugno 2009

The evil that men do lives on and on...


Jennifer Lee Carrell, W. (Interred with Their Bones, 2007)

Visto che da qualche tempo parlo di libri più vicini al thriller che non al fantastico in senso stretto, per una volta taglio la testa al toro e mi dedico ad un romanzo che è un thriller e basta, per di più un thriller "da classifica", se non addirittura "da supermercato". Prometto che presto tornerò all'ortodossia fantanerd, ma intanto vediamo di analizzare un po' il libro in questione.
W. (titolo italiano che non ho gradito particolarmente, dato che per più di un motivo avrei preferito un letterale e infinitamente più suggestivo Sepolto con le loro ossa) è un romanzo sulla falsariga de Il codice Da Vinci, se vogliamo: tutta un'orda di scrittori si è gettata sul genere del thriller investigativo "colto" dopo il successo del simpaticone americano. L'autrice, Jennifer Lee Carrell (docente di letteratura inglese a Harvard), ha optato per un terreno che ben conosce, quello degli studi shakespeariani; in effetti la trama del romanzo si concentra sulla ricerca di un'opera perduta del Bardo Immortale e, al contempo, di una serie di indizi che possano rivelare la vera identità del drammaturgo, messa in discussione da diversi studiosi.
La protagonista, Kate Stanley, è una sorta di alter ego della scrittrice, una donna americana laureata a Harvard che si è dedicata anima e corpo al teatro shakespeariano, tanto che all'inizio della storia la troviamo impegnata nell'allestimento dell'Amleto al Globe di Londra. Mentre è impegnata con le prove, Kate viene contattata dalla sua vecchia docente di Harvard, Roz Howard, che le dona un pacchetto e aggiunge, misteriosamente, che se lo apre dovrà seguirne la traccia. Poco dopo un incendio scoppia al Globe, curiosamente il 29 giugno, lo stesso giorno in cui, nel 1613, un incendio molto più grave distrusse il Globe originale (come mostrato nel prologo del romanzo); fortunatamente i danni non sono ingenti, ma nel teatro viene ritrovato il corpo della Howard, apparentemente perita per morte naturale. Kate, seguita per le vie di Londra da una misteriosa e inquietante figura, sospetta un intrigo di qualche genere e per il momento decide di tenere nascosto alla polizia il dono di Roz, che si rivela poi essere una spilla d'epoca shakespeariana. Kate inizia così a cercare informazioni a Harvard, sperando di ottenere una spiegazione per tutta la vicenda... peccato che un killer la segua e che diverse altre persone facciano una pessima fine, morendo in circostanze molto particolari che riecheggiano le opere di Shakespeare (la morte di Roz è stata tutt'altro che naturale, anzi è ricollegabile all'Amleto). Durante la sua ricerca la protagonista verrà aiutata dal misterioso Ben Pearl, che si presenta come il nipote di Roz, oltre che da vari altri personaggi come l'attore shakespeariano sir Henry Lee o l'eccentrica miliardaria e collezionista Athenaide. La sua ricerca la porterà in New Mexico, in Spagna, oltre che alla città natale di Shakespeare, ovvero Stratford.
La vicenda principale è intervallata da capitoli ambientati all'epoca di Shakespeare, con protagonisti diversi personaggi che hanno costellato la complessa e intrigante epoca a cavallo tra il regno di Elisabetta I e quello di Giacomo I Stuart. Tra cospirazioni, tradimenti e scandali si sviluppa una vicenda che pian piano confluirà nella trama principale del romanzo.
Che dire di questo libro? Sicuramente è un romanzo "da classifica", ruffiano al punto giusto da ottenere un notevole successo, visto che la moda del thriller intellettuale è sempre forte. Tuttavia ho trovato parecchio gradevole la lettura del libro della Carrell, con i continui riferimenti alla vita e alle opere di Shakespeare e alle vicende che si svolgono nelle biblioteche universitarie, quando i nostri eroi cercano antichi e polverosi tomi o diari e appunti di vecchi docenti - il tutto mi ha ricordato i tempi in cui scrivevo la mia tesi di letteratura inglese (proprio su Shakespeare), se mi permettete un guizzo di egocentrismo... ;-) Comunque, al di là delle considerazioni personali, ho gradito parecchio il romanzo anche se non è certo un capolavoro: è un libro ben scritto, ben costruito (anche se durante la lettura mi sono perso qualche anello della catena di collegamenti fatti dai protagonisti, non so se sono io che sono distratto - molto probabile! - o se è il libro a non essere del tutto chiaro) e interessante, decisamente un divertissement per gli estimatori di Shakespeare grazie ai numerosi riferimenti storici e letterari... ma sotto sotto rimane un thriller da ombrellone, anche se evita certe pacchianate inverosimili a favore di un intreccio abbastanza realistico. In ogni caso, sia che siate divoratori di thriller pieni di segreti e intrighi, sia che amiate il buon Guglielmo Scuotilancia, direi che una lettura del romanzo è più che consigliata!
Ultimo appunto: il titolo originale è, come molti sapranno, un riferimento al Giulio Cesare di Shakespeare (The evil that men do lives after them, / the good is oft interred with their bones). Questo passo viene spesso citato più volte nel romanzo, per cui un titolo italiano fedele all'originale sarebbe stato un'ottima scelta, anche perché - senza spoilerare troppo - nel libro si parla di una tomba segreta che custodisce un "tesoro" nascosto... in ogni caso anche l'iniziale W. (a mo' di firma) non è male, anche perché nel romanzo si parla di diversi William e di una serie di lettere di difficile attribuzione... altro non rivelo, a chi fosse interessato alla vicenda auguro buona lettura! :)

mercoledì 20 maggio 2009

Paura e disgusto a Calcutta


Dan Simmons, Il canto di Kali (Song of Kali, 1985)

Avevo detto domani? E quel domani era domenica? Mannaggia, la mia pigrizia come sempre prevale su tutte le buone intenzioni! :-P Beh, eccomi qua, parliamo del libro d'esordio di Dan Simmons, il visionario creatore del magniloquente ciclo dei Canti di Hyperion... come partire, se non con una frase d'effetto?

Questo libro è assolutamente orribile.

Orribile non in senso artistico: il romanzo è scritto benissimo, la storia scorre che è un piacere, i personaggi sono caratterizzati bene, la vicenda è intrigante... però il tutto è condito da elementi fortemente disgustosi e/o macabri, per cui è roba per stomaci forti, siete avvisati!
Dunque, dato che la tendenza a inquadrare ogni romanzo in un genere particolare è sempre fortissima, direi che Il canto di Kali è fondamentalmente un giallo/noir, o semplicemente un romanzo drammatico... che scivola nell'horror se consideriamo reali gli eventi apparentemente soprannaturali che accadono nel corso della storia, mai del tutto spiegati. Questo se partiamo dal presupposto che il genere horror si definisca come tale in base alla presenza in esso dell'elemento soprannaturale: se invece per horror intendiamo lo splatter e il macabro fine a se stesso come tende a fare Hollywood da qualche anno a questa parte, allora bolliamo tranquillamente il romanzo di Simmons come horror tout-court.
Il romanzo, ambientato nel 1977, narra la vicenda di Robert Luczak, un poeta e giornalista americano di origine polacca che riceve un incarico particolare: recarsi a Calcutta per recuperare il manoscritto dell'ultima opera del poeta bengalese Das e, se possibile, intervistare l'autore stesso. Un aspetto curioso dell'incarico è che Das risulta essere disperso da diversi anni, probabilmente morto annegato, eppure diversi personaggi di spicco della scena culturale indiana sono pronti a giurare che egli sia vivo e pronto ad incontrare Robert. Benché il collega di Robert, Abe Bronstein, cerchi di dissuaderlo in tutti i modi dall'andare in quella città maledetta, il nostro protagonista decide di partire, accompagnato dalla moglie indiana Amrita, una docente di matematica poliglotta, e dalla figlioletta in fasce, Victoria. Una volta giunti a Calcutta si trovano davanti un quadro di miseria e degrado, malattia e criminalità, un vero inferno sulla terra. Forse è questo l'aspetto più rilevante del romanzo: la descrizione della miseria più totale, senza remore e senza censure, per non dire senza pietà. Quest'ambiente degradato ha una sua poesia particolare, decadente se vogliamo, e Simmons ne tratteggia il quadro in maniera quasi violenta, lasciando un ricordo indelebile nella mente del lettore. Lo stesso Robert, che narra la sua storia in prima persona, non manca più volte di esprimere il suo disgusto verso quel microcosmo affollato di mendicanti, lebbrosi, criminali spietati, in un crescendo di disgusto che inevitabilmente rende la lettura pesante per chi non ama il macabro (io per esempio non lo amo più di tanto, ma in qualche modo sono arrivato alla fine del libro, eheh!).
Su questo sfondo degradato si svolge la ricerca di Das, durante la quale Robert incontra vari personaggi più o meno pittoreschi che lo aiuteranno o lo ostacoleranno in vari modi, mentre viene alla luce l'esistenza dei Kapalika, un culto di fanatici devoti alla malvagia dea Kali. La vita di Robert e della sua famiglia verrà sconvolta da eventi terribili che li segneranno per sempre e, come lo stesso narratore ci dice fin dalla prima pagina del libro, Calcutta gli si rivelerà come un luogo troppo malvagio e orribile per esistere, una sorta di buco nero o di piaga incurabile. Il libro è una piccola discesa negli inferi: emozionante, affascinante, ma profondamente morboso e a momenti disturbante.
Il romanzo di Dan Simmons, come ho detto all'inizio, è un bel libro. Forse un po' troppo pesante e macabro, specie nel drammatico finale, ma pur sempre una lettura avvincente, che consiglio però solo a chi ha lo stomaco forte. Il libro non dà certo un'idea positiva dell'India, o almeno di Calcutta, ma ne trasmette in un certo senso il fascino esotico, benché sepolto sotto una montagna di rifiuti e di cadaveri di derelitti. Non è certo un libro per bambini!

sabato 16 maggio 2009

Prossimi aggiornamenti...

Mi mancano una cinquantina di pagine per finire il prossimo libretto che finirà su queste pagine... intanto sto ponderando se non pubblicare qualche mio breve scritto fantanerd su questo blog, tanto per appagare il mio maniacale egocentrismo! :-P Purtroppo sono anche estremamente autocritico e giudico molto inadeguate le mie composizioni narrative realizzate finora... Beh, a domani per la prossima recensioncina!

giovedì 7 maggio 2009

Fanta-archeologia


Andreas Eschbach, Lo specchio di Dio (Jesus Video, 1998)

Dopo un periodo di pigrizia imperdonabile torno a recensire robaccia su questo blog... e questa volta ho deciso di svecchiare un po' il contenuto della paginetta, parlando di un romanzo recente (o perlomeno parecchio più recente dei precedenti!). Trattasi ordunque di un libro tedesco, scritto dall'autore di SF Andreas Eschbach. Ho detto SF? In effetti il genere di partenza di Eschbach è proprio quello, però il romanzo in questione è fondamentalmente un thriller in senso classico, benché condito con elementi fantastici (anzi, con un solo elemento fantastico che però condiziona tutta la vicenda). E allora via, più veloce della luce, squillino le trombe e diamo inizio all'analisi del romanzo!
La storia è ambientata in Israele, dove una serie di scavi archeologici sotto la guida del professore inglese Wilford-Smith porta alla luce un reperto a dir poco straordinario: uno scheletro umano che, senza ombra di dubbio, risale all'epoca di Gesù Cristo, eppure presenta otturazioni dentarie e una frattura curata con la tecnica medica moderna... e, soprattutto, ha con sé una scatola di plastica contenente il manuale di una videocamera non ancora uscita sul mercato! Sembrerebbe uno scherzo, eppure le analisi scientifiche provano che è tutto vero: si tratta dei resti di un viaggiatore temporale! Questa incredibile scoperta viene fatta dal nostro protagonista, Stephen Foxx, uno studente americano che sfruttando la sua intelligenza e astuzia è riuscito giovanissimo a fare una fortuna con la vendita di software (software che non era nemmeno opera sua, a dirla tutta) e che si diletta a partecipare a spedizioni archeologiche per il gusto dell'avventura.
Stephen Foxx è un protagonista un po' diverso dal solito eroe senza macchia che ci potremmo aspettare: specie all'inizio è egoista, materialista e nutre ambizioni enormi - dopotutto è incredibilmente sveglio e ha già fatto un mucchio di soldi grazie alla sua intelligenza. Personalmente l'ho trovato un personaggio interessante, ma profondamente antipatico. Il nostro Stephen, a suo dire seguendo un impulso inspiegabile, decide di nascondere una serie di foglietti che accompagnavano il manuale della videocamera per studiarli per conto proprio. Wilford-Smith e i suoi colleghi quindi sanno dell'esistenza dello scheletro e del manuale, ma non delle annotazioni lasciate dal viaggiatore nel tempo.
Subito compare un nuovo personaggio, quello che potremmo definire il cattivone della vicenda: John Kaun, uno spietato miliardario americano a capo di un network televisivo in ascesa. Kaun intende sfruttare la sconcertante scoperta per consolidare la sua posizione e trarne un guadagno senza precedenti: o trasmettendo il filmato (una volta trovata la videocamera col filmato al suo interno), oppure ricattando la Chiesa cattolica perché lo paghi profumatamente in cambio del suo silenzio riguardo un filmato che, chissà, potrebbe scuotere alle fondamente l'intera Cristianità.
La sfida, dunque, è tra Foxx e Kaun, intorno ai quali ruota un ampio cast di personaggi: Judith Menerz, una ragazza israeliana da cui Stephen è attratto (nulla di romantico, si direbbe: il nostro ha semplicemente una gran voglia di farsela!); il fratello di Judith, Jehoshua (spero di aver scritto tutte le h al posto giusto!), uno studioso che aiuta i due a decifrare i fogli lasciati dal viaggiatore nel tempo; Peter Eisenhardt, uno scrittore di fantascienza tedesco legato indirettamente all'azienda di Kaun (che finanzia la casa editrice che pubblica i romanzi del tedesco), chiamato dietro lauto compenso a formulare teorie sulla videocamera, nella speranza di capire le modalità e il vero obiettivo del viaggio temporale; Ryan, lo scagnozzo di Kaun, una sorta di spia-killer (almeno apparentemente...), sguinzagliato sulle tracce di Stephen e compagni una volta scoperto l'inganno del giovane americano; il professor Wilford-Smith, una figura ben più misteriosa di quanto appaia inizialmente; padre Lukas, un povero prete di Gerusalemme che si occupa dei poveri e dei derelitti della città; padre Scarfaro, un cattivissimo inviato del Vaticano, che con lo zelo di un inquisitore cerca di fermare i piani di Kaun; e altri personaggi ancora.
Non sto a rivelare troppi dettagli sulla trama, ma mi soffermo sulla vicenda in generale e sul modo in cui viene sviluppata: non si tratta di un thriller tutto sparatorie e inseguimenti come si potrebbe pensare, anzi! Anche se gli inseguimenti abbondano e qualche sparatoria non manca, non si tratta di una storia violenta con dei killer spietati sulle tracce degli eroi: tutti i personaggi, buoni o cattivi che siano (ed è difficile tracciare una linea di demarcazione netta), agiscono seguendo i propri interessi, ma rimanendo sempre più o meno entro i limiti della legalità, o perlomeno senza compiere azioni eclatanti come omicidi o rapimenti. Si tratta quindi di un "thriller" atipico, molto leggero per quanto riguarda la suspence e l'azione. Quello che più conta è il mistero in sé, che viene gradualmente alla luce, man mano confermando o smentendo le miriadi di ipotesi formulate dai personaggi.
Un aspetto particolare è tutta la questione religiosa alla base della vicenda: al giorno d'oggi un thriller che coinvolge il Vaticano potrebbe sembrare scontato, ma il romanzo di Eschbach risale a più di dieci anni fa, ergo non andrebbe per forza ricollegato a Il codice Da Vinci... anche perché non mi sembra un'opera che si limiti ad attaccare banalmente la Chiesa, semmai ne mostra le varie facce - dal buono e generoso padre Lukas, vero esempio di carità cristiana, al perfido Scarfaro che in alcuni punti mi ha quasi ricordato Nicolas Eymerich. Semmai mi ha un po' irritato l'immagine della Chiesa data negli ultimi capitoli - un po' scontata e trita... beh, saranno opinioni personali dell'autore! In ogni caso, perdonatemi lo SPOILER...

la visione del video in uno degli ultimi capitoli è un momento altamente lirico e ricco di pathos, quasi commovente (ma non rivelo altro).

Tra i personaggi ho trovato molto carina la figura di Eisenhardt, uno scrittore un po' fuori dal mondo, fondamentalmente un debole che fa fatica a compiere qualunque azione degna di nota nella storia, anche se le sue teorie sul viaggio nel tempo sono molto interessanti. Penso sia una figura autoironica creata da Eschbach per prendere in giro lo stereotipo dello scrittore di fantascienza - quindi si può dire che il romanzo contenga un elemento metaletterario (ma come sono colto, ahah!).
Vediamo dunque di formulare un giudizio globale su quest'opera.
Chi si aspetta un thriller in senso stretto potrebbe rimanere deluso, come anche chi si aspetta un romanzo fantastico a tutto tondo, con eventi incredibili e rivelazioni sconvolgenti. Alla fine della storia rimane un po' la sensazione che il romanzo giochi molto sul non detto, su quanto rimane avvolto dal mistero. L'autore non fornisce risposte certe, alla fine rimangono tante ipotesi e nessuna spiegazione esauriente. Devo dire che, in questo senso, il libro mi è sembrato un po' un'opera incompleta, o perlomeno un'opera che non dice tutto quello che potrebbe dire, in cui la storia non viene sfruttata a dovere, non si esprime al massimo del suo potenziale. Insomma, manca qualcosa... ma credo sia stata una scelta consapevole dello scrittore. In ogni caso gli ultimi capitoli contengono alcune scene davvero brillanti che mi sono piaciute davvero molto, inoltre la storia in sé è interessante e ben congegnata, anche se forse non coinvolge come ci si potrebbe aspettare da un thriller (e, in fondo, Lo specchio di Dio un vero thriller non è). Insomma un buon libro, con delle ottime idee, non un capolavoro ma una lettura piacevole e con degli spunti interessanti. Se poi voleste farvi un'idea sulla vita in Israele e sulla complessa società di quel Paese il romanzo contiene molte informazioni interessanti... e spesso curiose.
Complessivamente darei un 7-7,5, se proprio volessi attribuire un voto numerico al libro. Prima o poi dovrò leggere il romanzo Miliardi di tappeti di capelli, dove Eschbach si dedica alla SF in senso stretto... e quando lo farò provvederò a recensirlo sul blog. Sciao!

sabato 7 marzo 2009

Teatro dell'assurdo in un bar extradimensionale


Fritz Leiber, Il grande tempo (The Big Time, 1958)

Ultimamente sto leggendo numerosi libri, come sempre... ovvero, ne inizio uno, poi in un momento di noia ne inizio un altro, e finisco per leggere mille cose tutte insieme (e se consideriamo che sono un lettore molto pigro e col passare degli anni leggo sempre più lentamente, i miei tempi di lettura si dilatano verso l'infinito). Così, mentre pian piano leggiucchio altri simpatici libretti che prima o poi finiranno su questa pagina, mi soffermo un attimo su un libro letto un paio di mesi fa - un'opera veramente strana e fuori dagli schemi, soprattutto se consideriamo il periodo in cui venne scritta (fine anni '50).
Fritz Leiber (1910-1992) è uno dei Grandi Vecchi della letteratura fantastica americana (insieme, tanto per fare qualche nome, a Jack Vance, Isaac Asimov, Philip J. Farmer...), uno scrittore la cui produzione spazia dalla fantascienza in senso stretto alla fantasy furfantesca (le avventure di Fafhrd e del Grey Mouser), sempre con notevoli tocchi di ironia. Il grande tempo appartiene formalmente alla fantascienza, ma è un romanzo davvero insolito: di fatto è interamente ambientato in un Locale fuori dal tempo e dallo spazio, abitato da un gruppo di personaggi strani e originali, tutti coinvolti in una guerra di proporzioni cosmiche tra due fazioni, i Ragni e i Serpenti. Non è ben chiaro quali siano gli scopi delle due "organizzazioni", ma apparentemente i Ragni (fazione alla quale sono affiliati i nostri eroi) perseguono fini positivi rispetto a quelli dei biechi Serpenti. Certo però che anche i Ragni, subdoli manipolatori del destino umano e della storia, non possono definirsi esattamente dei simpaticoni. Ragni e Serpenti combattono una guerra eterna in tanti luoghi e in tante epoche: il loro conflitto, la Guerra del Cambio, avviene sui campi di battaglia di tutta la storia umana, dall'antica Grecia alle due guerre mondiali; la storia, in questo modo, viene continuamente alterata dai Venti del Cambio provocati dagli interventi delle due fazioni sulla storia della Terra. Non che la Guerra del Cambio si limiti alla Terra e alla razza umana: tra i protagonisti del romanzo compaiono un alieno di un passato remotissimo, così come una specie di satiro proveniente dal lontanissimo futuro. La Guerra del Cambio, dunque, travalica il tempo e lo spazio, fino a raggiungere proporzioni e fini incomprensibili per la mente umana.
I personaggi si muovono all'interno del Locale, una sorta di bar e di clinica allo stesso tempo: in esso i soldati dei Ragni possono riposare e riprendersi psicologicamente nei brevi periodi tra una battaglia e l'altra. Questi soldati, così come il personale del Locale, sono Demoni, ovvero comuni mortali ai quali, in punto di morte, è stata offerta la possibilità di vivere (in eterno?) al servizio dei Ragni in questa realtà extradimensionale. Essi provengono da ogni luogo e da tutte le epoche: tra i protagonisti troviamo un soldato romano, un ufficiale nazista proveniente da una linea temporale in cui l'Asse ha trionfato (una possibile ispirazione per Dick?), un poeta e tenente inglese morto durante la prima guerra mondiale, un intellettuale elisabettiano, uno scienziato russo e così via. La voce narrante è quella di Greta Forzane, una giovane donna che lavora nel Locale come entraineuse. Greta è anche l'amante del nazista Erich von Hohenwald, di cui spesso non condivide il modo di fare diretto e brutale. Erich è fin da subito ai ferri corti col poeta Bruce Marchant, il quale rifiuta di obbedire al volere dei Ragni e cerca quelle risposte che, in fondo, tutti i personaggi vorrebbero ottenere. Qual è poi il senso di questo eterno conflitto? La risposta, ovviamente, non viene data dall'autore: forse è veramente al di là della comprensione della razza umana, incluso lo stesso Leiber.
Il romanzo è relativamente breve ed è strutturato in maniera molto simile ad un'opera teatrale: all'inizio del libro troviamo subito il "cast" con indicati i rispettivi ruoli nella storia; inoltre l'intera vicenda si svolge nel Locale, uno spazio chiuso e limitato, quasi paradossalmente in opposizione ai mostruosi scenari cosmici evocati dalle parole dei personaggi. In questo senso il romanzo è relativamente facile da adattare per il teatro, esperimento già tentato da molti con successo. In fondo sembra quasi di leggere un'opera di Beckett: un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, personaggi assurdi, una vicenda incomprensibile... Il romanzo, visti i temi trattati, potrebbe apparire pesante e quasi angosciante, eppure Leiber usa la sua solita ironia per rendere leggera la lettura del suo libro. Diciamo che il miele dell'ironia rende meno amaro l'assenzio della lotta cosmica che tutto include e tutto divora. Ne Il grande tempo il concetto di viaggio temporale viene portato alle estreme conseguenze, cosicché la Storia stessa non è più qualcosa di certo e di immutabile. In effetti è come se il Locale fosse l'unico luogo sicuro e stabile dell'universo - e apparentemente i Locali potrebbero essere innumerevoli, anche se nel romanzo ne appare solo uno. Al giorno d'oggi molti di questi temi sono stati sfruttati a fondo dalla letteratura fantastica, ma qui parliamo di mezzo secolo fa - e Leiber non può che apparire come un precursore di molte tendenze della SF contemporanea.
Un romanzo folle e visionario, angosciante e al contempo quasi comico: un vero spettacolo dell'assurdo.

venerdì 6 marzo 2009

Un'inquietante ucronia


Philip K. Dick, La svastica sul sole (The Man in the High Castle, 1962)

Iniziamo con un "classicone" della fantascienza, uno di quei libri che hanno veramente lasciato un segno indelebile nella storia del genere... e forse della letteratura in generale. Notoriamente il buon Dick (1928-1982) è uno di quegli scrittori "di genere" che col passare degli anni sono stati parecchio rivalutati dalla critica, che ne ha scoperto e infine esaltato il valore squisitamente letterario. Peccato che sia stata una rivalutazione postuma...
Ammetto subito che questo è il primissimo libro di Dick che ho letto (ho iniziato ad approfondire la fantascienza solo di recente) e quindi non posso ritenermi un esperto della produzione dello scrittore americano. In ogni caso direi che proseguirò con altre sue opere, data l'indubbia maestria di questo genio folle... Il romanzo appartiene al sottogenere della SF noto come storia alternativa o anche, più tecnicamente, ucronia (come l'utopia, solo che in questo caso la storia si svolge "in nessun tempo"). L'autore immagina che il secondo conflitto mondiale sia finito diversamente da come ci dicono i libri di storia, infatti nel suo mondo l'Asse ha vinto su tutti i fronti, conquistando di fatto l'intero pianeta, ora diviso tra Germania e Giappone (l'Italia fascista è stata relegata ad un ruolo di secondo piano). L'URSS è caduta sotto l'assalto nazista, privando gli Alleati di una grossa fetta delle loro forze e causando la disfatta finale delle forze angloamericane. Dick spiega questo disastro con la morte prematura di Roosevelt, che in questo mondo immaginario è stato assassinato nel 1934. I suoi successori non sono stati in grado di affrontare la marea nazista e gli Stati Uniti sono infine caduti anch'essi. La storia è ambientata nel periodo in cui il romanzo venne scritto, ma la realtà è del tutto diversa da quella che conosciamo: gli USA sono divisi in due, con la parte occidentale in mano ai giapponesi, dominatori relativamente mansueti, e quella orientale sotto il pugno di ferro del Reich. La storia si svolge nel primo di questi due territori: gli statunitensi vivono sotto l'occupazione giapponese e devono adeguarsi alle norme imposte dai dominatori, tra le quali spicca una fortissima etichetta che regola i comportamenti quotidiani, dove gli americani si sentono sempre dei rozzi barbari bianchi, privi di quel perfetto autocontrollo che sfoggiano i loro padroni. Il rapporto tra americani e giapponesi ha esiti curiosi: Dick rovescia lo stereotipo del turista occidentale sempre a caccia di souvenir, mostrando un mondo dove sono i giapponesi a cercare oggetti tipici della tradizione americana, senza fare molta distinzione tra una pistola della Guerra di Secessione (probabilmente un falso) e un orologio di Topolino risalente a prima della guerra. Sulla costa occidentale, invece, i tedeschi hanno imposto un regime crudele, in cui gli afroamericani sono tagliati fuori dalla società bianca e gli ebrei inevitabilmente destinati ai campi di sterminio. Di fronte al terrore nazista l'America nipponica sembra quasi un paradiso, ma non è tutto rose e fiori come potrebbe apparire a prima vista (a questo proposito, è estremamente interessante l'apparato critico che correda il romanzo, fornendo numerosi spunti di riflessione).
Non che il resto del mondo se la passi meglio, tutt'altro: l'Europa è in mano ai nazisti e le popolazioni slave, giudicate inferiori, sono state trapiantate in Asia e ridotte a una massa di selvaggi dal folle piano del Reich; in Africa le popolazioni locali sono state completamente sterminate in nome del delirante credo della superiorità della razza ariana, trasformando il continente in un grande deserto; inoltre, riallacciandosi alla fantascienza in senso classiso, Dick racconta dei progressi tecnologici del Reich, intento a lanciare razzi nello spazio per colonizzare Marte e diffondere così la propria ideologia in altri mondi. I tedeschi sono anche in possesso della bomba atomica, pronti ad usarla contro l'alleato giapponese che, sotto sotto, hanno sempre considerato inferiore. Lo scenario dunque è a dir poco fosco e inquietante, anche perché in questo mondo alternativo lo stesso Hitler non è più al potere da molti anni, divorato dalla sua stessa follia: come ci mostra Dick, la perversa macchina di morte nazista è talmente ben oliata che riesce a funzionare ugualmente e a perseguire i suoi fini sanguinari anche senza lo zio Adolf al comando...
Il romanzo ha molti protagonisti: Robert Childan, un antiquario che vende "oggetti della tradizione americana" ai giapponesi e che nel corso del romanzo si troverà in diverse situazioni problematiche quando non imbarazzanti; Frank Frink, un comune uomo della strada che decide di mettersi a lavorare in proprio, creando insieme ad un amico lavori d'artigianato "100% americano", ma che deve anche nascondere le sue origini ebraiche per evitare la persecuzione; Juliana, l'ex moglie di Frank, in viaggio con il suo amante, un misterioso camionista italiano; Nobosuke Tagomi, un importante dignitario giapponese che si troverà anch'egli in situazioni non esattamente idilliache; il signor Baynes, misterioso uomo d'affari svedese che si reca negli USA con una missione segreta; e infine Hawthorne Abendsen, uno scrittore la cui figura incombe sulle vicende degli altri protagonisti fin dall'inizio ma che comparirà solo alla fine del romanzo.
E' proprio Abendsen che diventa, a modo suo, il vero protagonista della storia: gli altri personaggi ne parlano in continuazione anche se egli non compare di persona se non nell'ultimo capitolo. Abendsen è l'autore di un romanzo, La cavalletta non si alzerà più, che ha conquistato innumerevoli lettori negli Stati Americani del Pacifico, mentre è un'opera bandita nel Reich. Il libro narra di un mondo in cui Germania e Giappone sono stati effettivamente sconfitti dagli Alleati, ma non è il nostro mondo: vi sono alcune differenze sostanziali, come il fatto che le due potenze rimaste in campo non sono gli USA e l'URSS bensì gli USA e l'Impero Britannico... Attraverso questo gioco letterario Dick ci mostra un'ucronia nell'ucronia, o se vogliamo un'utopia nella distopia... e il finale, che non rivelerò, è tanto ostico e allucinatorio quanto geniale. L'altro grande libro intorno a cui ruotano le vicende dei personaggi è l'I Ching, l'antico oracolo cinese a cui quasi tutti i protagonisti, giapponesi o americani, si affidano per conoscere il loro destino.
Nel romanzo di Dick si può trovare di tutto: fantastoria, metaletteratura, riflessioni politiche, etniche e culturali, analisi (anche troppo brutali, in un certo senso) della mentalità nazista, oltre ad elementi più tradizionali come l'azione, la suspense e (in un certo senso) l'amore. Il libro non è velocissimo (anzi, molti passaggi sono lenti, essendo dedicati alla descrizione delle attività lavorative dei vari personaggi), ma è una grande lettura che, oltre a divertire, porta il lettore a riflettere su molti temi difficili. Lo scrittore analizza la società statunitense del suo tempo sotto la lente distorta della distopia, mostrandone i lati oscuri, come la facile accettazione della dittatura e del razzismo, ma rivendicando comunque la dignità e la forza del popolo americano di fronte alla sconfitta e all'occupazione. I personaggi non sono buoni o cattivi in senso tradizionale: hanno tutti molti difetti ma ognuno, a modo suo, alla fine trionfa. Anche se le sorti di questo mondo immaginario sono tutt'altro che rassicuranti - e alla fine del libro Dick non dà risposte certe a molti interrogativi lasciati dalla vicenda narrata. Forse è vero che la vera letteratura è quella che pone degli interrogativi senza volere per forza darvi una risposta...
Non me la sento di dare un voto numerico ai libri, anche se la tentazione è forte. Certo è che La svastica sul sole, se non arriva al dieci, è proprio lì lì...

Inauguriamo una nuova epopea...

Mi presento, son l'orsetto ric... no, scusate, volevo dire: mi presento, sono Tomashiro, il neotitolare di questo blog. Su di me non ci sono molte cose da dire, se non che sono fondamentalmente un nerd (e già il fatto che abbia creato un blog è indicativo di questa "triste" realtà). Pertanto ho deciso di dedicare una parte del mio tempo, quella che non dedico a fumetti, libri fantasy e SF, videogiochi, giochi di ruolo, wargames e musica metal, alla creazione di questa paginetta dove intendo parlare di... beh, di fumetti, libri fantasy e SF, videogiochi, giochi di ruolo, wargames e musica metal! :-D
Scherzi a parte, ho deciso di dedicare il blog principalmente alla letteratura (tendenzialmente alla letteratura fantastica ma... chissà... forse finirò per parlare anche di altro), quindi a recensioni e approfondimenti su opere varie. Sono sempre stato un divoratore di narrativa fantasy (iniziò tutto quando a 12 anni mio zio mi regalò Lo Hobbit e l'anno dopo mia nonna "rincarò la dose" con Il Signore degli Anelli), anche se ultimamente sono più attratto dalla fantascienza che trovo più speculativa, interessante e letterariamente rilevante... o forse sto semplicemente invecchiando!
E allora via, più veloce della luce! La prima recensiùn è in dirittura d'arrivo... ^^